Cara Beatrice,

ora che la scuola è finita ed è arrivata l’estate stavo riordinando la mia scrivania. Tra fogli di appunti, libri e oggetti vari mi è venuto tra le mani il tuo elaborato di percorso formativo, la “tesina” come la chiamavate tu e le tue compagne.
Sfogliarla e leggere i passi salienti è un modo per sentirti vicina, per averti ancora accanto e vederti sorridere con la naturalezza e la bellezza dei tuoi 17 anni.

Nel tuo lavoro hai descritto l’evoluzione del concetto di bellezza negli anni duemila. I tuoi anni, quelli che ti riguardavano da vicino, come hai precisato nell’introduzione. Ti immagino bambina, come racconti, quando giocavi con smalti e trucchi e ti divertivi a sperimentarli su tua nonna che si prestava a fare da modella. Quando sei cresciuta, pur continuando ad amare gli strumenti per il make up, hai compreso un concetto molto importante. Spesso la gente “è concentrata sull’apparire” come ben rimarchi. “L’essere umano ha dato molta importanza alla bellezza estetica, al piacersi, soprattutto a sé stessi, come per andare a soddisfare un bisogno di identità un po’ persa”.

Grazie alla tua sensibilità hai capito che alcune persone acquistano in modo quasi bulimico un’infinità di cosmetici “come se questi prodotti potessero andare a colmare i vuoti interiori della nostra società come la mancanza di soddisfazioni, una bassa autostima, l’imposizione di obiettivi troppo alti da raggiungere e le frustrazioni”.

Il vuoto che hai lasciato tu, cara Beatrice, è incolmabile. Niente mai potrà riempirlo, ma io ti voglio ricordare così, con le tue riflessioni di ragazza giudiziosa ed entusiasta e ti assicuro che sarai sempre nel mio cuore e in quello di coloro che nella nostra scuola ti hanno conosciuta e hanno compiuto con te una parte del proprio cammino didattico e di vita.